Vignetta del giorno

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giovedì 15 marzo 2007

Il pesce dell'eterna giovinezza



Se il segreto dell'eterna giovinezza è stato per secoli ricercato nel Santo Graal o perso nei meandri della scomparsa Atlantide, pochi forse sospettavano che l'elisir di lunga vita stava proprio sotto i nostri occhi, o meglio, dentro i nostri mari.
Studi sempre più recenti e in disparati laboratori del mondo concordano nel presentarci le molecole che possono aiutarci a combattere lo stress, contrastare l'obesità, prevenire malattie cardiovascolari, migliorare il sistema immunitario (quindi prevenire tumori), vincere disordini e malattie neuro-psichiatriche: dunque un miglioramento delle condizioni di salute in toto che potrebbe in futuro proiettarci verso una vecchiaia più serena e più attiva.
Ma quali sono codeste molecole segrete nascoste dalle società segrete e dalle case farmaceutiche? E bene sì, ``costoro'' sono gli omega3, ossia acidi grassi polinsaturi a catena lunga chiamati acido eicosapentaenoico (per gli amici EPA) ed acido docosaenoico (nick name DHA), entrambe presenti nei pesci, soprattutto in quelli più grassi (come salmone, sgombro e pesce azzurro), e naturalmente nei loro derivati (olio di pesce ed olio di fegato di merluzzo).
Le case farmaceutiche si mostrano tiepide dinanzi a tali notizie, ufficiali e non, celando un sottile diniego verso la sperimentazione e l'investimento di fondi su molecole già esistenti in natura e facilmente reperibili (un bel chiletto di salmone è acquistabile nel più vicino supermercato...).
Ci pensano il biochimico Barry Sears, guru della dieta Zona, e lo psichiatra Andrew Stoll, direttore della clinica psichiatrica di Harvard, a colmare le lacune e lo scetticismo del mondo scientifico con le loro rispettive pubblicazioni (La Zona Omega3Rx, Sperling&Kupfer Editori, 2003 e The Omega3 Connection, Simon&Shuster, 2002), i quali dai loro pulpiti consigliano, oltre ad attività fisica, meditazione e dieta equilibrata, belle abbuffate di pesce al posto della carne per cercare di introdurre da 2,5 a 20 grammi di omega3 al giorno! (Se 100 grammi di sgombro ne contengono appena 1,8 grammi pensate un po' quale ristorante napoletano bisognerà arricchire…). Qui arriva il bello: secondo i due scienziati bisognerebbe introdurre degli integratori di olio di pesce o di olio di fegato di merluzzo, forieri di quella quantità enorme di omega3 che non siamo riusciti ad ingoiare nel nostro bel ristorante napoletano. Niente di male se non fosse per il fatto che sono loro stessi a consigliarci caldamente un integratore di olio di pesce altamente concentrato, prodotto in collaborazione con alcune aziende… E casualmente nessuno dei due cita gli studi ed il prodotto dell'altro scienziato… Casualità o libera concorrenza americana??
Noi continuiamo a mangiare il nostro gustoso e salubre antipasto di mare al ristorante, scorrendo fra le dita i dati di un interessante studio fra popolazioni e comportamento alimentare: solo lo 0,1% degli Eschimesi, la cui dieta è costituita quasi esclusivamente dal pesce pescato (arrivando ad introdurre fino a 19 grammi/die di omega3), nonostante le loro condizioni di vita estreme (freddo polare, lunghi cicli luce-buio), soffre di depressione maggiore e così le popolazioni che consumano grandi quantità di pesce (in primis Giappone); all'opposto troviamo i Neozelandesi che godono di condizioni ambientali certamente migliori degli Eschimesi, ma hanno il 5,8% della popolazione (p<0,005)>
Se siete rimasti ancora indecisi se mettere mano al portafoglio ed andare in quel benedetto ristorante napoletano, vi illuminerò con l'arringa del dott. Stoll: studi caso-controllo in doppio cieco hanno evidenziato miglioramenti in pazienti che soffrivano di disturbi di depressione maggiore e disturbi bipolari, tramite la somministrazione di olio di pesce ad alto dosaggio nel gruppo sperimentale, ed un placebo (olio di oliva) al gruppo di controllo. Dopo appena 3 settimane di terapia si è avuto un notevole miglioramento della sintomatologia depressiva nel gruppo sperimentale, senza notare effetti collaterali (l'olio di pesce dà, infatti, solo in alcuni casi nausea o diarrea), anche in quei casi in cui le terapie convenzionali a base di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), come Prozac e compagnia bella, o di stabilizzatori dell'umore (litio e carbamazepina), avevano fallito.. Il meccanismo biochimico degli omega3 alla base dell'applicazione in ambito neuro-psichiatrico, sarebbe dovuto alla loro massiva e preziosa presenza nella membrana plasmatica dei neuroni, contribuendo ad assicurare la giusta fluidità del bilayer fosfolipidico ed alla buona funzionalità delle proteine che in esso vi galleggiano assolvendo in estremis la preziosa funzione del rilasciamento dei neurotrasmettitori; essendo gli omega3 essenziali, perché introdotti solo con la dieta, una dieta povera in tali acidi grassi forzerebbe il neurone di turno ad usare roba di ``seconda scelta``, inserendo alla fine acido stearico o acido palmitico con diversa struttura chimica (meno atomi di carbonio e niente doppi legami), interferendo con i sottili meccanismi nervosi e con tanto di sciopero sindacale di serotonina e dopamina. In definitiva DHA ed EPA introdotti con la dieta verrebbero a lubrificare i neuroni riprendendo il loro giusto posto di lavoro scalzando gli acidi grassi profani saltati fuori da hamburger graziati dalla mucca pazza.
Una teoria veramente interessante a cui servono ancora molti studi e verifiche scientifiche. Oggi si è ricorso ufficialmente agli omega3 solo nella veste di ipolipidemizzanti (Eskim, Esapent e Seacor, capsule di olio di pesce, sono potenti mezzi di prevenzione e profilassi di acciacchi cardiovascolari e già presenti nelle nostre farmacie).
Speriamo che la ricerca non attenda il solito business plan di qualcuno.

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